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Quando il kite diventa filosofia di vita

18-10-2005
All News
Nell’aprile 2002 mi autodiagnosticavo un nodulo al seno sinistro. Inizialmente la paura mi bloccava nel parlare, soprattutto con mio padre medico, e quindi nel sottopormi ai controlli. E così dopo circa un mese ho iniziato a seguire le analisi di routine passando da vari centri diagnostici al COES del S. Giovanni (Le Molinette) di Torino. A 31 anni stavo subendo mammo, eco, microistologico e citologico, esami che avevano inizialmente rilevato un fibroadenoma (nodulo benigno) di 11 mm. “Non si preoccupi, sopravviverà”, questa la battuta accompagnata da un sorriso del senologo e del personale paramedico con l’intento di sdrammatizzare un evento che sapevo avrebbe cambiato per sempre il mio modo di vedere la vita. Anche il solo pensiero di dovermi sottoporre periodicamente ai controlli di prevenzione mi avrebbe in qualche modo segnato. E così è stato! L’idea di essere il contenitore di un potenziale male, mi costrinse a chiudermi in un apparente silenzio: vivevo il periodo peggiore della mia vita alla ricerca affannosa e quasi nevrotica di informazioni su ciò che avevo e di come si sarebbe potuto evolvere. La mia salute, l’unica cosa perfetta fino ad un istante prima, era diventata il principale pensiero che mi assillava 24 ore su 24 e nulla era più importante. Volevo uscire da questa situazione quanto prima ed evitare il tunnel della depressione. E proprio la depressione sarebbe stata la cosa peggiore.

Mi accorgevo che nessuno mi avrebbe potuto aiutare più di me stessa. Questa convinzione mi faceva respingere tutti, evitavo di parlare anche coi miei perché, per sdrammatizzare, avrebbero continuato a dirmi che era cosa da nulla. Evitavo chiunque. Non volevo avvicinarmi a persone diverse, nuove. Insomma miravo esclusivamente a stare con me stessa. E nessuno si accorgeva di quanto mi stesse accadendo.

Ero consapevole di dover trarre la forza da me stessa per combattere un incubo che avanzava inesorabile. Sentivo di dover scoprire quel qualcosa che mi avrebbe almeno fatto avvertire il senso di libertà e farlo mio!
Non potevo buttarmi nel lavoro sia per la sua natura precaria (purtroppo per me una costante), sia per la sensazione di prigionia che mi trasmette: dover dipendere da schemi ed etichette soffoca il mio modo d’essere. Lo sport? Da sempre la mia passione. Poteva essere la mia arma vincente. Realizzai però che consentivo al mio corpo di stancarsi, a volte fino a crollare, con lo scopo di domare il mio malessere. Continuare così mi faceva solo rimandare il problema, mentre mi serviva quella forte scarica di adrenalina che mi avrebbe fatto sentire vincente, ma come ottenerla?

Da qualche anno Giu mi aveva trasmesso la sua passione per gli aquiloni da trazione: avevo iniziato con il diabolico C-Quad 4.2 per poi passare al kitesurf e allo snowkite. Vivendo a Torino la distanza dal mare crea non pochi disagi ed è a dir poco frustrante per chi, nato e vissuto per 24 anni a Napoli, non vede il mare neppure da lontano! E quando torno su una spiaggia la mia mente si apre all’infinito grazie al continuo movimento del mare, a volte sornione a volte turbolento, e al mistero che lo avvolge.

Nell’estate del 2002 Giu ed io anticipammo le vacanze a giugno; ci dicemmo che da quel momento, finché avremmo potuto, le nostre vacanze sarebbero state all’insegna del kite. E così è stato! Due settimane a Rosamarina di Ostuni, in Puglia, a scoprire gli spot della zona e soprattutto ad imparare finalmente a planare! Così, partiti da Torino anche col mio pesante bagaglio di pensieri, cercavo di distrarmi in qualsiasi modo, ma ricordo che solo con la mia prima planata iniziai ad avvertire una sensazione di leggerezza e di liberazione. Libera da cosa? Dal mio incubo. Difficile descrivere le proprie emozioni perché sono qualcosa di molto intimo e astratto, ma voglio provarci...

... le prime scariche di adrenalina mi attraversavano, anche per aver percorso appena una manciata di metri e cadere col sedere in acqua. Riuscivo a ridere di nuovo, forse per la mia goffaggine, nonostante le cadute, le sbucciature, i tagli ... ma tutto ha concorso a vincere la paura e a recuperare, se pur lentamente, quella tranquillità che non conoscevo più da tempo oramai, e che era stata violata dalla prima diagnosi e da quelle a seguire (cambiavano di continuo, sfidando il mio limite di tolleranza). Lentamente compresi che la mia serenità non dipendeva più dall’avere la conferma della natura della “nocciolina” che come un tic mi palpavo con la speranza inconscia che stessi vivendo solo un brutto sogno, quanto dal trovare un nuovo equilibrio che mi avrebbe consentito di essere positiva con me stessa e ricominciare a dare un valore alla mia esistenza, comunque sarebbe stata, e alle persone.

Tornati a Torino la mia mente era rivolta alla vacanza successiva, al prossimo viaggio, perché ero e sono tuttora convinta che viaggiare per conoscere e divertirsi arricchisce la vita nonostante si stia vivendo un periodo difficile. A settembre saremmo partiti alla volta della Spagna.

Trascorsi quasi tutto il mese di agosto a Formia. Ricordo che quando c’era vento guardavo il mare ed il cielo dipingersi dei colori vivaci dei kite e delle bianche scie tracciate dalle tavole. Pensavo che certe situazioni o si sognano o si vivono ... meglio viverle nella loro interezza per le forti emozioni che si scatenano in un momento che dura un’eternità!

I primi di settembre eravamo nel Golfo delle Rose, sulla costa Nord occidentale della Catalogna, spot incantevole per il kite. Iniziavano i miei primi contatti con persone con le quali avevo in comune la passione di volare. Non importa chi siano, l’età, la professione, tutto ciò è secondario e se mai verrà in seguito. Ho piacere di ascoltare le loro storie di kite, le loro avventure e come sono arrivati a planare tra le onde. E poi attraverso i racconti si conoscono delle vite, scoprendo una bellezza che avvolge in un mistero l’esistenza di ogni uomo. E così al 1° Foil Fest Italia a Vada e durante la permanenza nella bella isola di Lefkada, dove ho conosciuto Paolo, un windsurfista non più tanto giovane, ma capace di trasmettere fiumi di simpatia e buon umore tra un bicchiere di buon vino ed un bicchierino di grappa.

Nella stagione fredda si corre in montagna e con gli sci ai piedi mi immergo nel paesaggio alpino sopra i 2000 m ... sensazioni uniche e irripetibili: volare assieme agli aquilotti leggiadri e silenziosi... solo il fruscio del mio aquilone che riempie di colori quel candido paradiso. Ed ogni volta è un’emozione diversa. A Capodanno partivamo alla volta di Hurghada, Egitto. E poi tutta la stagione invernale alla scoperta di Serre Ponçon, Silvaplana, Le Semnoz, Col du Lautaret, Vetan, la conca del Mont Fallere, Gera Lario. E poi da maggio i fine settimana tra Vada, Talamone, Follonica. E poi in Puglia sulle spiagge dell’Adriatico e dello Ionio alla ricerca di spot tutti per noi ... tanti spot e tante vite che si incrociano anche solo per qualche ora.

Non cerco la competizione, quanto la libertà dell’aquila o del gabbiano, quanto la pienezza di una vita sfuggente, quanto il riconoscere i miei problemi come piccoli ostacoli di vita quotidiana, quanto il sentirmi parte integrante di una Terra amica, quanto avvertire il volo della mia anima come il volo di una farfalla, quanto il sentire tra le mani gli elementi ... Ed immergermi al tramonto nella pace e nell’ordine della natura, in un’atmosfera di sogno tra i gabbiani che si ritirano in volo rasente l’acqua e gli ultimi raggi di Sole che sfumano il mare ed il cielo con pennellate tra l’arancio, il rosa e l’indaco. Plano in totale libertà e solitudine... sono io, alla ricerca di quelle emozioni che resteranno solo ed esclusivamente mie, per sempre. Anche le giornate trascorse nella vana attesa che Eolo si svegli dal torpore sono piacevoli se quel giorno ho conosciuto altre storie di kiter, se ho potuto ammirare un altro angolo della Terra. Poi è gratificante la stanchezza accumulata a fine giornata per aver inseguito il vento da uno spot all’altro. È piacevole scoprire e ammirare una natura che fa parte di me.

Alla fine cosa resta di una bella giornata trascorsa all’insegna del kite? Mi resta lo sciabordio, la musica dolcemente ritmata dell’onda tranquilla e sorniona, il sali-scendi sulle onde che fanno da trampolino, il frusciare della tavola nel silenzio del paesaggio marino, il vento che spira senza strappi (quello che si spera), il profilo della costa in lontananza mentre cerco di indovinare gli odori della macchia mediterranea o di una pineta che delinea la costa o di una vegetazione esotica o individuare il punto dal quale sono partita se la costa è un deserto di sabbia che si plasma al soffio di Eolo. Mi resta il mistero del paradiso in terra, il sibilo delle linee che tagliano l’aria nel silenzio in cui riecheggia lo scivolare delle lamine nella neve fresca o nel ghiaccio vivo, il gelo di -10°C che mi prende in una morsa mani e piedi e che sembra scomparire dopo un po’ che stringo le maniglie. Mi resta l’odore dell’erba dei prati, schiacciata al passaggio dei ruotoni della mountainboard e gli esseri del microcosmo che sembrano impadronirsi dell’aquilone ogni volta che conquista la terra. Ecco la magia di un giorno in kite: la sensazione di scivolare dentro la natura stessa, non guardarla, ma esserne parte.

Vivere simili emozioni, grazie anche a chi mi è stato vicino e a chi ho incontrato solo per un giorno, mi aiutano a ridimensionare i miei problemi, a sentirmi in qualche modo vincente sul male che è sempre in agguato, a combattere e vincere la paura di non farcela soccombendo alla forza del vento rafficato, alle onde, allo shore break ... come l’ultima estate a Lefkada: solo al settimo giorno di permanenza ho vinto la paura di tutto questo ... una paura che si riflette nella vita. È per questo che ogni mia conquista col kite mi rassicura, mi dà fiducia: so di poter vincere anche nel quotidiano.

Anche il sapere attendere le condizioni giuste aiuta a fortificare la mia pazienza e il mio autocontrollo, quella pazienza e quell’autocontrollo che ho dovuto misurare durante la snervante attesa dei referti diagnostici (soprattutto quando si perdevano all’interno della stessa struttura ospedaliera!), o quando la diagnosi è cambiata in filloide di 14 mm (la cui natura sarebbe potuta drasticamente mutare col tempo), o di quando nel novembre di un anno fa ho subito l’asportazione di quello che poi è stato definitivamente diagnosticato come amartoma, o quando mi reco tutt’ora ai controlli di prevenzione. Ho sempre creduto nello sport perché è una scuola per vivere meglio, perché spesso è una terapia per sconfiggere mali di varia natura, anche se non ce ne rendiamo conto. Il kite, molto presente in questo periodo della mia vita, è stata l’occasione per far emergere quel coraggio che reputo indispensabile per affrontare i problemi legati alla mia paura di non farcela, una paura che tocca tutti almeno una volta nella vita.

E così domani, che sarà un altro giorno, mi recherò in uno spot dove troverò la carovana del vento: al mare o in montagna o al lago ci sarà chi pazientemente attende il vento con l’anemometro tra le mani, chi con il passo nevrotico muove le gambe per la tensione perché il vento fa i capricci, chi raggiunge la riva e si affaccia al mare per leggerne i segnali, chi arriva in spiaggia per godersi una giornata assieme ad altri pazzi, chi per la prima volta si avvicina timoroso ad un bestione di aquilone, chi windsurfista incallito è incuriosito e si informa, chi temerario si lancia tra i flutti o affronta la piana di un lago ghiacciato o un candido pendio e si allontana sicuro di sè ... Quando ci saranno i miei nodi, armerò come di consueto la vela. Ogni cosa dev’essere al proprio posto, diligentemente revisionata prima del decollo. Solleverò il kite e con la barra proverò e riproverò la risposta della vela al vento così da trimmarla ad hoc prima di uscire. E poi via, agile e veloce, quando riesco, tra gli spruzzi dell’acqua o della neve che si sollevano al mio passaggio, col vento laminare, vigoroso e preciso, concentrata per seguire gli eventuali capricci dell’aria, fino a scoprire l’incanto dell’assetto giusto, dell’aquilone a segno che lavora in armonia col vento, sulla tavola o gli sci che scivolano leggeri e briosi sul mare o sulla neve. Ed evitare all’aquilone di dominarmi stringendo di bolina, spigolando al massimo ... E quando giungerà la sera mi stupirò ancora una volta di come, nonostante la stanchezza, mi senta effervescente, elettrizzata, leggera e spensierata ... è la magia del kite? Ognuno la definisca come vuole! Per quanto mi riguarda il kite è una chiave che mi consente di aprire la porta verso l’infinito. Quell’infinito nel quale la bellezza della vita è in un inesorabile, instancabile ed incantevole divenire.

racconto di Kiterwoman: http://www.foillia.it 
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